giovedì, luglio 20, 2006

IL RICORSO D'APPELLO OVVERO COME NON DIFENDERSI

Sperando di non annoiare i lettori, Juventiniveri pubblica il testo integrale del ricorso d'appello depositato dall'Avvocato Cesare Zaccone alla Corte Federale.

Ecc.ma Corte Federale Roma

La società per azioni Juventus, corrente in Torino, Corso Galileo Ferraris 32, in persona del suo presidente e legale rappresentante dott. Giovanni Cobolli Gigli, assistita dal difensore che sottoscrive con lui il presente atto e che viene delegato a rappresentare la società avanti la Ecc.ma Corte, dichiara di impugnare la decisione relativa al Com. uff. n. 1/C (riunioni del 29 giugno e 3, 4, 5, 6, 7 luglio 2006) della Commissione di appello federale, comunicata il 14 luglio 2006, per i motivi infra precisati e formula le seguenti richieste:

- ritenere che anche i fatti ascritti al capo 1 della incolpazione all’amministratore delegato Antonio Giraudo e al direttore generale Luciano Moggi non costituiscono illecito sportivo, ma devono essere definiti come violazione dell’art. 1 CGS;
- ritenere, di conseguenza, che la società Juventus risponde esclusivamente ai sensi dell’art. 2 comma 4 CGS, e, in particolare, a titolo di responsabilità oggettiva e non diretta per i fatti che sono stati ritenuti sussistenti a carico di Luciano Moggi;
- determinare la sanzione in misura coerente con le risultanze del procedimento di primo grado, e quindi in misura di gran lunga minore a quella inflitta, come infra precisato al motivo 4, escludendo la aggravante contestata.

I motivi che sorreggono le richieste sopra formulate sono i seguenti:

1 - Erronea applicazione della norma di cui all’art. 6 comma 1 CGS. Contraddittorietà interna della decisione nella parte in cui afferma che la contestazione sub 1 costituisce illecito sportivo (per il quale la società è chiamata a rispondere al capo 2).

Chiamata (pag. 79) ad accertare se “la pluralità di condotte poste in essere da Moggi e Giraudo, anche se singolarmente costituenti soltanto violazione dei principi dei cui all’art. 1 CGS, abbiano determinato quella situazione di condizionamento del settore arbitrale che costituisce l’atto diretto al conseguimento del vantaggio in classifica” (e quindi realizzino la violazione dell’art. 6 c. 1), la CAF risponde affermativamente, precisando che “le condotte accertate (di Moggi e Giraudo) erano soggettivamente ed oggettivamente idonee a interferire sulla terzietà della funzione arbitrale al fine di ottenere un trattamento preferenziale rispetto alle altre squadre e, quindi, in definitiva, ad assicurarsi un vantaggio in classifica; e che, inoltre, avevano una capacità causale per il conseguimento del risultato sperato”.

A noi pare che si tratti di una affermazione che trova smentita poche pagine appresso, nella parte in cui si scrive (pag. 91) che, per “Mazzini, Pairetto, Lanese e De Santis, la Commissione non ritiene che sia stata raggiunta la prova della responsabilità degli incolpati in ordine alla violazione dell’art. 6, c. 1 CGS.”
Questa mancanza o insufficienza della prova esclude in radice la idoneità della condotta di Moggi e Giraudo e, ancor più, nega qualsivoglia “capacità causale” a quelle condotte al fine di realizzare un vantaggio in classifica. E’ del tutto ovvio che il vantaggio in classifica si ottiene attraverso gli arbitri (in questo senso la decisione è concorde quando scrive che “il vantaggio in classifica è l’effetto del condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale (pag. 77); ma, se questo condizionamento non vi è stato o non è dimostrato, la condotta non è né idonea, né casualmente adeguata a realizzare il vantaggio sperato.

Altrettanto criticabile è la seconda affermazione, secondo la quale l’insieme delle “condotte costituenti di per sé comportamenti contrari ai principi di lealtà correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva (art. 1 c.1)” è stato idoneo a realizzare un condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale a vantaggio della Juventus e quindi sia stato violato l’art. 6, integrando la pluralità delle condotte l’attività diretta a procurare alla Juventus un vantaggio in classifica”.
La critica, peraltro del tutto ovvia, consiste nell’osservare che non è il numero delle condotte che ne cambia la sostanza; e, se ogni singola condotta non realizza l’illecito sportivo, questo non può ritenersi realizzato anche se quelle stesse condotte vengono unitariamente considerate (pag. 89).
Pertanto i comportamenti descritti nel capo 1 vanno qualificati come violazione dell’art. 1 CGS.

Le successive contestazioni mosse a Moggi e Giraudo al capo 3 ed al solo Moggi al capo 7 (fatti per i quali la società Juventus è chiamata a rispondere per i capi 4 e 10) sono state già ridimensionate dalla decisione qui impugnata, che ha escluso l’illecito sportivo nell’episodio relativo alla gara Juventus Lazio, ravvisando la minore violazione dell’art. 1; a questa stessa violazione erano ricondotte le gare di Reggina-Juventus e Juventus-Udinese.
Per la gara Bologna-Juventus (contestata come illecito sportivo) vi è stato proscioglimento di Moggi e De Santis dall’addebito di illecito sportivo e la condotta di Moggi è stata ricondotta alla violazione dell’art. 1.
Dunque, quando si è ricercata la prova di condotte idonee e causalmente adeguate a realizzare un illecito sportivo nello svolgimento delle gare o nel conseguimento di un vantaggio in classifica, non la si è ritrovata.

2 – Sul titolo per il quale la società Juventus deve rispondere per i fatti attribuiti al Moggi.
La CAF non ha motivato sul punto, anche se il tema era stato espressamente dedotto con qualche non inutile citazione. La decisione impugnata si è limitata a richiamare le risultanze del censimento dell’anno in questione, l’art. 2 comma 4 CGS e l’art. 3 comma 4 del regolamento L. N. P. che, peraltro, avevamo espressamente citato nella nostra memoria e dei quali, quindi, avevamo tenuto conto.
Il problema era ed è quello di comprendere che cosa significhi la “rappresentanza ai sensi delle norme federali” e di valutare se questa possa discendere dallo stampato di un “censimento” o debba fare riferimento agli atti sociali per verificare se, nel caso di specie, si possa ricollegare qualsivoglia atto del Moggi alla società, così come avviene per gli atti compiuti da Giraudo.
Noi riteniamo che, ai fini della rappresentanza sociale, si debba fare esclusivo riferimento allo statuto sociale o alle delibere del consiglio di amministrazione, atteso che essa rappresenta un essenziale profilo dell’attività di amministrazione della società e deve essere accompagnata da forme di pubblicità; pertanto abbiamo sostenuto che, per i fatti ascritti al Moggi, non si può ritenere una responsabilità diretta della Juventus.
Su questo punto ne verbum quidem, anche se il tema appare di particolare rilievo, ai fini della sanzione da irrogare alla società.

3 – Mancanza e contraddittorietà di motivazione sulle sanzioni irrogate. Illegittimità delle sanzioni di cui all’art. 13 comma 1, lettere b), f), i).

Le sanzioni inflitte alla società Juventus sono state molte e particolarmente gravi: noi affermiamo che questo cumulo di sanzioni particolarmente afflittivo non è compatibile con la riconosciuta (e da noi contestata) presenza di un solo caso di illecito sportivo e con le considerazioni svolte in premessa: “la Juventus ha tenuto un comportamento processuale apprezzabile perché improntato a lealtà e correttezza (che sono le qualità che sono state assenti nel passato, secondo la decisione impugnata); ha dimostrato, inoltre, con l’opera di rinnovamento già attuata, di riconoscere gli errori commessi nel passato per il tramite dei suoi dirigenti e di avere iniziato un processo di rigenerazione”.
Questo rinnovamento è stato provato con la produzione dei verbali del consiglio di amministrazione della società che, fin dal giorno 11 maggio 2006, aveva ridotto i poteri a Giraudo e Moggi e aveva revocato questi poteri fin dal 19 maggio, sostituendo integralmente il consiglio, subito dimissionario, e dotandosi di un codice etico e di nuove regole per il controllo interno: e ciò assai prima dell’inizio del procedimento disciplinare.

Non vi è stato certo – come sostenuto dall’ufficio indagini – un Moggi gestore del calcio italiano, perché la decisione riconosce che “non un unico reticolo abbracciante tutti i rapporti denunciati dalla procura federale esisteva, bensì tanti reticoli quante erano le squadre del campionato attualmente deferite, le quali si attivavano, ciascuna nel proprio interesse, al fine appunto di alterare i principi di terzietà, imparzialità ed indipendenza del settore arbitrale”.
Non vi sono state partite alterate nel loro svolgimento e non vi è stata alcuna dimostrazione del conseguimento di un vantaggio in classifica.

Perché allora la sanzione (che non ha giustificazione alcuna e che non è motivata) della non assegnazione dello scudetto per il campionato 2005/2006, rispetto al quale non esiste alcuna prova di irregolarità?
Perché aggiungere alla sanzione molto affittiva della revoca dello scudetto 2004/2005 (che è la sanzione più grave, in quanto, secondo precedenti decisioni (Com. uff. n. 10 del 2005, caso Genoa), la indicazione delle sanzioni contenuta nell’art. 13 CGS è “incrementale”, nel senso che elenca le sanzioni in ordine di gravità) la retrocessione in serie B ed una penalizzazione che equivale, in sostanza, ad una retrocessione in serie C? Non sfuggirà all’attenzione della Corte Federale che 30 punti di penalità possono significare una retrocessione dalla B alla C se non si raggiungeranno, nella prossima stagione, almeno quei punti (circa 70) che consentiranno di non retrocedere.
Anche se non menzionata nel dispositivo, un’altra – e ancora più grave sanzione – colpisce la società: quella prevista dalla lettera l) dell’art. 13 CGS "non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni". Nel caso di specie, alle sanzioni irrogate consegue inevitabilmente la non ammissione alla competizione internazionale della Champions League.
A queste gravissime sanzioni un'altra, anch’essa, come la precedente, non considerata dalla decisione impugnata, ma non meno grave, se ne aggiunge: l’esodo dei migliori giocatori, pronti a sostenere la società per un anno in B, ma non disponibili (e comprensibilmente, trattandosi di talenti di rilievo internazionale) a rischiare una retrocessione in C o, nella migliore delle ipotesi, una permanenza in B per almeno due anni.

Di qui la conclusione.
La decisione impugnata ha di molto ridimensionato le costruzioni accusatorie dell’ufficio indagini e della Procura federale; ha riconosciuto che, al massimo, un solo caso di illecito sportivo è sussistente (varrebbe la pena di verificare quanti illeciti sportivi sono attribuiti a quelle squadre che hanno ricevuto trattamenti sanzionatori molto più miti) e che la società ha fatto quanto possibile per voltare pagina.
Ma, sorprendentemente e in totale contrasto con le sue premesse, la decisione impugnata ha inflitto un cumulo di sanzioni gravissime: la condanna della società a due anni almeno di serie B, la revoca dello scudetto 2004/2005, la ammenda e la non assegnazione dello scudetto 2005/2006 guadagnato sul campo. Con le ulteriori, conseguenti sanzioni, di cui abbiamo già detto.

Si osserva, infine, che l’art. 6 comma 3 CGS prevede che, in caso di responsabilità diretta, possa essere inflitta alternativamente la sanzione di cui all’art. 13 comma 1 lettere g) o h). Solo in caso di pratica inefficacia di una di tali sanzioni, può aggiungersi altra diversa sanzione.
Noi contestiamo che, nel caso di specie, la sanzione della retrocessione all’ultimo posto in classifica (lettera g) possa essere ritenuta “praticamente inefficace”. E ciò in quanto la inefficacia della sanzione (di cui alla norma) non può essere confusa con la sua insufficienza. Riteniamo, pertanto, che alla sanzione di cui alla lettera g) non potessero essere aggiunte quelle di cui alle lettere b) ammenda, h) penalizzazione di punti e i) revoca o non assegnazione del titolo.

Un’ultima osservazione discende dall’esame dei precedenti: la richiesta del Procuratore Federale è stata quella della esclusione dal campionato di competenza con assegnazione, da parte del Consiglio Federale, ad uno dei campionati inferiori alla B.
Quale è il “campionato di competenza"? Tutte le sentenze pronunciate dai giudici sportivi (Commissione Disciplinare e CAF) hanno ritenuto che campionato di competenza sia quello in cui si è verificato l'illecito: "va precisato che con riferimento alla sanzione prevista dall'art. 13 co. lett. g) per campionato di competenza deve intendersi quello di appartenenza al momento della realizzazione dell'illecito" (cfr C.U. Commissione Disciplinare n. 10 del 27/7/2005 caso Genoa).
Orbene, il campionato in cui si sarebbe verificato l'illecito è quello del 2004 - 2005. Il campionato 2005 - 2006 è privo di qualunque irregolarità in quanto non vi è nessuna contestazione in proposito.
Se non è più possibile applicare la sanzione al campionato 2004 - 2005, come si dovrebbe nel caso di specie (si è già svolto e concluso il campionato 2005 - 2006), dovrebbe farsi ricorso all’art. 6 co. III CGS che prevede la sanzione maggiore della non assegnazione o della revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia. Pena gravissima applicata nella storia del calcio italiano una sola volta.

La circostanza aggravante di cui all’art. 6 comma va esclusa, così come ha ritenuto la CAF per quanto riguarda la società Lazio (pag. 120) trattandosi, comunque, di un solo illecito sportivo.

Si confida nell’accoglimento

Torino-Roma 17 luglio 2006

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